La necessità di nascondere messaggi strategici da
occhi nemici è antica quanto l'uomo: ci sono tracce di cifrari antichi quanto
gli Ebrei, gli Spartani avevano un loro particolare sistema di
comunicazione dei messaggi segreti. A Giulio Cesare si attribuisce l'uso del cosiddetto "cifrario di Cesare", cifrario attualmente ritenuto molto banale, ma innovativo per quei tempi.
La storia della crittografia
moderna inizia con la stesura del "de Cifris" di Leon Battista Alberti che per primo
insegnò a cifrare per mezzo di un disco cifrante con
un alfabeto segreto da spostare ad
libitum ogni due o tre
parole. Ma il vero progresso nella cifratura
polialfabetica è stato compiuto dal bresciano Bellaso, che ha inventato la tecnica di alternare alcuni
alfabeti segreti formati con parola chiave sotto il controllo di un lungo
versetto chiamato contrassegno. Il francese Vigeneré utilizzò
poi il versetto per cifrare ciascuna lettera con la sua tavola ad alfabeti
regolari identica a quella del Tritemio e che oggi porta il suo nome. Il suo
sistema è stato considerato indecifrabile per tre secoli, finché nel 1863 il colonnello prussiano F. Kasiski non
pubblicò un metodo per "forzarlo", chiamato Esame Kasiski.
Qualsiasi sia il sistema
crittografico utilizzato, la legge fondamentale sul corretto uso di tali
tecniche fu scritta da Kerckhoffs nel suo libro La Cryptographie Militaire.
Cruciali sono
anche i tempi necessari alla crittoanalisi per la decifrazione del messaggio:
per diverse applicazioni di telecomunicazioni e informatica un sistema si può
considerare sicuro anche se il suo sistema di cifratura risulta violabile, ma
con tempi di realizzazione che renderebbero poi vani i successivi tentativi di
attacco diretto.
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